Vincitrice per ben due volte di questo importante premio internazionale: Maria Cristina Mariani Dameno, universalmente nota come Cini Boeri.
Nata a Milano nel 1924, Cini, con il suo passato da staffetta partigiana, si era laureata al Politecnico di Milano nel 1951 e aveva collaborato prima, per un breve periodo, nello studio di Giò Ponti e poi, a lungo, con Marco Zanuso.
Una carriera lunga e ricca di soddisfazioni, realizzando progetti ammirati e premiati in tutto il mondo.

Vogliamo ricordarla con una delle sue creazioni più iconiche, diventata un classico mondiale, l’affascinante Poltrona Ghost realizzata in un’unica lastra di vetro, tagliata e piegata per formare contemporaneamente la seduta, i braccioli e lo schienale.
Un concetto che si fa oggetto
“Pensai di progettare provocatoriamente una poltrona inesistente, per sedersi nel… vuoto, ma non pensavo seriamente di fare una poltrona in vetro”
Cini Boeri

Ghost significa ombra, traccia, parvenza, spirito, anima. Solo il vetro è in grado di trasformare questo concetto astratto in oggetto fisico.
Operare questa trasformazione fu la sfida vinta da Cini Boeri e dal suo collaboratore Tomu Katayanagi quando decisero di dare al vetro la forma di una poltrona, cioè di un contenitore che non contenesse liquidi ma corpi umani.

Forgiata dalla sapienza tecnica ed estetica del fondatore di FIAM Vittorio Livi, nacque Ghost, la poltrona in vetro che, presentata per la prima volta al Salone del Mobile di Milano nel 1987, venne subito premiata in un concorso della rivista “Interni” che invitava i visitatori a scegliere il prodotto più innovativo.
Progettare un paradosso
“La mia iniziale diffidenza per un’idea che sembrava irreale fu superata dal desiderio/sfida di vedere se fosse possibile concretizzarla.”
Cini Boeri
A motivare quel giudizio immediatamente entusiasta dovette certo essere il design armonioso ed elegante, ma ancora di più la sorpresa che la poltrona Ghost suscita per il suo essere oggetto che tende all’inesistenza e che tuttavia si impone per il paradosso che reca in se stessa.

Il paradosso sta nell’essere fatta di vetro, cioè del materiale che più di ogni altro evoca fragilità e leggerezza, ma di essere costretta a svolgere una funzione solida e pesante come quella di accogliere un corpo umano.
“Ghost viene provata da tutti, imprenditore, progettisti, tecnici e operai: tutto è riuscito bene, anche le inclinazioni date dal disegno ed è così nata una poltrona-non poltrona, inaspettatamente comoda”
Cini Boeri
Come ogni oggetto di design che attinge alla perfezione, la poltrona Ghost supera le contrapposizioni tra bello e utile, ma anche tra agio e disagio: il disagio di affidare il proprio corpo a una poltrona apparentemente fragile e l’agio di esserne accolti come in un respiro.
Un design unico
Ma cos’è che impone la poltrona Ghost come unicum? Dal romanticismo in poi, l’arte non cerca più la bellezza ma la novità, il cambiamento, la distorsione e lo shock. Ghost offre tutto questo e vi aggiunge la bellezza.

L’essenza del bello
Qualcosa è bello se ogni sua parte ha un senso, se c’è un rapporto organico tra le sue parti e se il tutto è capace di funzionare.

La poltrona Ghost risponde a questi requisiti e vi aggiunge la perfezione: una perfezione che possiede la levigata ripetibilità dell’oggetto industriale e la cura affettuosa dell’oggetto artigianale.
Al di là delle mode

Razionalismo, postmodernismo, bolidismo, eclettismo, minimalismo, ed altri “ismi” hanno segnato la storia recente del design, ma la poltrona Ghost ha attraversato indenne queste onde del tempo rimanendo attuale, al di sopra delle mode.
Perché, come scrisse John Keats:
“l’opera d’arte è una gioia creata per sempre”.